Emigrante in Germania per rivendicare la mia libertà. Avevo circa diciassette anni, una mamma protettiva e un padre emigrato in Argentina.
Avrei dovuto aspettare i ventuno anni, tuttavia la voglia di conoscere il mondo era grande.
Emigrante in Germania
Verso la fine degli anni cinquanta, in tanti come me partivano con il bus dalla Provincia di Latina e volevo farlo anch’io. Con un po’ di destrezza sono riuscito a far firmare un documento a mia madre per partire, ed era il mio passaporto per la Germania. Nonostante il documento che avevo in mano, una volta salito sull’autobus, mia madre cercò di fermarmi. Si mise a correre seguendo il bus, però il mio cuore stava già guardando lontano e non mi voltai.
Ero giovane e convinto che il mondo aspettasse solo me, ma non era così. La Germania ovest era ricca, ma fredda, distante e per un giovane ragazzo italiano che non conosceva la lingua, era durissima. Al mio paese c’era tanto sole, colline bellissime, la cucina meravigliosa di mia nonna e di colpo ero solo. Mi mancava la saggezza del nonno, il suo sguardo dolce e casa mia.
Emigrante in Germania da Latina
Tanto lavoro, sacrificio, e anche gli errori che fa un ragazzo senza una famiglia. In Italia avevo studiato e interrompere gli studi era stato un errore. Poi l’amore con una donna tedesca più grande, il matrimonio e la sicurezza. Gisla era solida, saggia e mi convinse a riprendere gli studi per degli avanzamenti di carriera. Ho imparato perfettamente il tedesco, e mi sono fatto una cultura, ma quella fame di libertà non si placava mai. Poi i figli, il divorzio, altre relazioni, e tanti amici italiani e tedeschi, con cui ci siamo sempre sostenuti. Nelle cene scrivevo e declamavo poesie. Quando tornavo in Italia, svuotavo la valigia, perché la riempivo di libri, romanzi di grandi scrittori, che diventavano vitali. Mio fratello e mia cognata mi riempivano di pane, insaccati, sottolio, dolci, biscotti, crostate, che centellinavo. Raccoglievo anche le briciole del pane italiano, di cui niente andava sprecato.
Pitigliano
La mancanza dell’Italia, del mio paese e della famiglia sono sempre rimasti pungenti nel mio cuore. Erano gli anni settanta, mia madre invecchiava e la sua salute non era più salda. Pensavo a mio fratello che mi mancava ed ero preoccupato per lui che faceva un lavoro rischioso. Poi, la tranquillità del mio cuore arrivò con la mia seconda moglie Tina, austriaca, dolce, colta, equilibrata.
Pensavo alla mia nipotina primogenita. Quando arrivai con il treno per conoscerla, la vidi per la prima volta trotterellare sulla banchina della stazione. La notai dal finestrino. Non l’avevo mai vista e dissi a mia moglie: “è lei, è mia nipote, è il mio sangue”! Lei mi rispose: “come fai a saperlo”. Le risposi che era uguale a mia madre, ed era così. Infine, decisi con lei di comprare una casa in Toscana, a Pitigliano, un piccolo centro delizioso.
Dalla Germania alla Toscana
In Germania stavo bene. Avevo tanti amici, tuttavia il richiamo verso l’Italia era fortissimo. Una volta in pensione potevo stare anche tre o quattro mesi in Italia, perché ne avevo tanto bisogno. Il mio cuore ne aveva davvero necessità. Volevo passare del tempo nel mio paese d’origine, per andare tra i vicoli, parlale il mio dialetto e sentirlo ancora. Volevo andare nel mio Bar di ragazzo.
A Pitigliano mi sono fatto tanti amici, e anche con loro mi vedevo al Bar. Ce ne stavamo ore al sole a bere le “polle”, di buon vinello bianco toscano e fare tante chiacchiere. Sono diventato confidente di mille storie. La mattina all’alba dalla cucina guardavo il panorama, scrivevo prendendo il caffè, e guardavo le foto della mia famiglia. infine, Non so se rifarei tutto, ma so che ho impiegato una vita a ricucire lo strappo, da quel giorno che lasciai l’Italia su quell’autobus.