emigrazione : foto in bianco e nero della famiglia Modesto Giudice

La Fondazione italiani.it vuole essere una comunità di persone che amano l’Italia e che, tra tutti gli amori della vita, raccontano quello per la propria terra d’origine. Vuole mettere al centro della propria attenzione l’Italia, intesa come luogo di origine di quel legame unico e indissolubile che lega tante persone e si tramanda da generazione in generazione.
La rete degli italiani che amano e raccontano l’Italia, una rete tra i singoli paesi italiani e le comunità di italiani emigrati e dei loro discendenti. Questo nostro sentimento non può essere compreso appieno se non si parla e si comprende la storia dell’emigrazione italiana nel mondo.

Riteniamo che ciò sia fondamentale per due ordini di motivi:

1) perché noi immaginiamo gli italiani che vivono nel Bel Paese, culla dell’italianità, come i custodi di questo sentimento e quelli che vivono all’estero come i suoi ambasciatori nel mondo. Pertanto, comprendere il grande fiume dei nostri emigrati, che ha toccato gli angoli più disparati del mondo, le loro esperienze e il loro percorso difficilissimo e tortuoso di integrazione nelle nuove realtà, significa comprendere le espressioni più vistose e durevoli dell’italianità.

2) perché l’emigrazione italiana nel mondo ha rappresentato uno dei caratteri più singolari e peculiari della nostra storia contemporanea. Non si può capire quello che siamo se non si comprende appieno questo fenomeno. Tutta la storia contemporanea del nostro Paese è stata fortemente influenzata dalla vicenda dell’emigrazione italiana all’estero, e ha ereditato da essa i suoi caratteri più essenziali.

Economia, costume, lingua e cultura sono state condizionate dall’emigrazione

In altre parole, la nostra coscienza collettiva e il nostro universo simbolico si sono formati e costruiti risentendo pesantemente di questa vicenda. Per questo motivo, senza la pretesa di essere esaustivi, vogliamo definire una storia dell’emigrazione italiana. Per fornire, a grandi linee, un quadro generale all’interno del quale spiegare questo fenomeno, e all’interno del quale milioni di emigrati italiani e oriundi possono ritrovare sé stessi e le proprie origini. È un’impresa difficile perché, se è vero che pure altri paesi hanno conosciuto importanti flussi migratori, l’emigrazione italiana per intensità, distribuzione temporale e varietà di provenienza sociale e geografica di partenza e mete di arrivo, rappresenta un caso di portata unica.

L’emigrazione è un fenomeno che ha interessato quasi tutta la popolazione italiana. Inizialmente ha riguardato l’Italia settentrionale e poi, dopo il 1880, anche il Mezzogiorno. L’Italia, in verità, ha conosciuto anche consistenti fenomeni migratori interni, cioè tra i nostri confini geografici. Tra il 1861 e il 1985 hanno lasciato il Bel Paese più di venticinque milioni di italiani, un numero impressionante. Per dare una idea, pari a tutta la popolazione italiana dei primi del Novecento. L’argomento è molto complesso e per rendere più facile la comprensione abbiamo individuato delle fasi, diverse tra loro per caratteristiche demografiche e sociali, consapevoli dei limiti che una tale semplificazione comporta.

Sono tre i periodi durante i quali l’Italia ha conosciuto i più cospicui fenomeni migratori

Il primo, conosciuto come “Grande Emigrazione”, ha avuto inizio con l’Unità d’Italia ed è terminato verso la fine degli anni Venti, con l’affermarsi del Fascismo. Il secondo, per facilità di comprensione definito “Migrazione Europea”, è avvenuto tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e la fine degli anni Settanta. La terza ondata conosciuta come “Nuova Emigrazione”, causata dalla grande recessione seguita alla crisi economica del 2007, è un fenomeno ancora visibile.
Quest’ultimo fenomeno meno consistente dei precedenti, interessa soprattutto i giovani. Tra il 2007 e il 2017 il numero dei cittadini italiani che risiedono all’estero e che sono iscritti all’AIRE è passato dai tre milioni del 2007 ai quasi 5 milioni del 2017.

Nei tempi passati sono esistiti anche altri movimenti migratori, seppur meno importanti

Le prime significative migrazioni in Italia si sono riscontrate nel tardo Medioevo e hanno riguardano solo alcune tipologie, con il ruolo di polo attrattivo delle ricche città del Nord Italia, il flusso dalle campagne verso le città e i movimenti dei mercanti italiani verso Nord Europa e di quelli veneziani verso oriente. Erano tutti flussi temporanei e che comunque non intaccavano il legame con la terra di origine. In età moderna iniziò il declino delle grandi città. Nacquero alcuni stati regionali e le migrazioni erano per lo più causate dai ritmi agricoli, iniziò il fenomeno delle migrazioni religiose, anche se rimaneva forte il fenomeno dei mercanti. Agli inizi del 1800 le migrazioni erano ancora per lo più agricole, verso aree da bonificare; iniziava il fenomeno delle migrazioni politiche.

La valigia di cartone simbolo dell' emigrazione

Ed è con il drammatico fallimento dei raccolti del 1815 e 16 e la grave carestia che ne seguì che iniziò a delinearsi l’alternativa dell’America. Però, con i buoni raccolti degli anni successivi e le politiche ostruzionistiche dei governi svanì ben presto, anche se questa opzione era entrata negli orizzonti migratori. Riprese a partire dagli anni 40/50, quando acquistò una certa rilevanza soprattutto per una tipologia ben precisa. L’emigrazione “vergognosa” di poveracci e mendicanti, che fu osteggiata da restrizioni degli Stati di arrivo e fece da apripista al sentimento di pregiudizio anti-italiano all’estero. In ogni caso, si era aperta una strada, che ben presto fece da apripista a un esodo. La partecipazione femminile in queste fasi fu quasi nulla e il fenomeno interessò soprattutto il nord.
Veniamo ora ai fenomeni che vogliamo sottolineare.

La “grande migrazione” dall’Unità d’Italia alla fine degli anni Venti

Tra il 1861 e la fine degli anni Venti lasciarono l’Italia circa 18 milioni di italiani. Fino al 1880, l’emigrazione interessò soprattutto l’Italia settentrionale, mentre nei due decenni successivi il primato iniziò a passare alle regioni meridionali. Insomma, almeno inizialmente, sembra strano a dirsi, la piaga dell’emigrazione era un fenomeno riguardante esclusivamente il Nord Italia, che fu trasferito al Sud solo in seguito alla fine del Regno borbonico.

La prima fase (1861-1900)

Nella prima fase (1861-1900), caratterizzata da flussi sempre crescenti, privi di una qualsiasi forma di regolamentazione e privi di tutele e vigilanza, tanto da renderli quasi clandestini, partirono circa 5,3 milioni di persone. L’emigrazione riguardava essenzialmente gli uomini, con età media molto bassa e di provenienza per lo più contadina, con mete nella primissima fase europee (Francia soprattutto e poco Germania) e poi man mano decisamente extraeuropee (Brasile, Argentina e Stati Uniti). Dal Nord provenivano circa otto emigrati su dieci. Il primato del Sud America della prima parte, dove gli emigrati confluivano nelle monocolture, si esaurì comunque a fine anni ’80, a causa di continue crisi politiche e agrarie; a partire da allora diventa netta la prevalenza degli USA, autori di grandi opere ferroviarie e infrastrutturali.

Seconda fase di questa emigrazione (1900-1915)

Nella seconda fase (1900-1915), che pure coincide con l’industrializzazione italiana, il flusso migratorio non si placò. Il nostro sviluppo industriale, né intenso né uniforme, non riuscì ad assorbire la manodopera eccedente. L’emigrazione continuò a essere per lo più extraeuropea e coinvolse prevalentemente le regioni meridionali. Partirono mediamente seicentomila italiani all’anno, per un totale di circa nove milioni di persone. Un vero e proprio esodo. La creazione nel 1901 del Commissariato Generale dell’emigrazione, pur senza risolvere le enormi problematiche, vessazioni e carenze igieniche, almeno limitò l’azione speculatoria di intermediari e compagnie di navigazione e garantì un minimo di tutele ai partenti.

La terza fase: dal 1915 alla fine dei Venti

Nell’ultima fase di questo periodo, che va dal 1915 alla fine degli anni Venti, l’emigrazione calò vistosamente. Inizialmente a causa della guerra che rendeva gli spostamenti troppo pericolosi. Poi, dopo una nuova breve impennata del fenomeno nell’immediato dopoguerra, il calo delle partenze fu da una parte dovuto alle restrizioni legislative di alcuni Stati di approdo, in particolare gli USA (vedi limitazione delle quote di ingresso e “literacy test” contro gli analfabeti) e dall’altra alle tendenze stataliste e restrittive in tema di emigrazione, attuate dal fascismo per motivi di prestigio e potenziamento bellico. Da non trascurare fù anche il peso della profonda crisi del ’29. Con l’affermarsi del Fascismo, a emigrare furono soprattutto gli oppositori politici. Mete preferite Francia e Inghilterra, mentre aumentarono i ricongiungimenti familiari e dunque la presenza femminile.

Motivazioni dell’emigrazione di questo periodo

Le cause avanzate per spiegare l’imponente crescita dei flussi migratori a partire dall’Unità d’Italia sono tante e si concentrano per lo più sulla crisi del mondo agricolo, serbatoio inesauribile di migranti.
La società agraria appariva negli anni post unitari attraversata da una crisi molto profonda, strutturale, non dovuta solo al cattivo andamento di alcuni raccolti e ad alcune pestilenze di piante. Grazie alla meccanizzazione del settore agricolo statunitense, che consentiva costi di produzione infinitamente più bassi, dall’America arrivarono in Europa e in Italia ingenti quantità di grano a prezzi ridottissimi, che annientarono la nostra agricoltura, poco rivolta al mercato.

La nuova legislazione dello Stato Sabaudo che portò all’abolizione degli usi civici, alla vendita dei beni ecclesiastici e alla liquidazione dei demani aveva da una parte favorito l’ascesa di nuovi ceti borghesi, ma dall’altro aveva privato il mondo contadino di tutti quei diritti comunitari che spesso costituivano una fonte importante nei bilanci familiari.
La crescente pressione fiscale, soprattutto al Sud, molto più rigida di quella precedente, aveva reso il comparto agricolo ancora più vulnerabile. Mentre il Piemonte, ex feudo dei Savoia, riuscì a limitare la tradizionale emorragia migratoria grazie alle politiche economiche post unitarie, tutte le regioni meridionali dell’ex Regno borbonico per quelle stesse politiche subirono, invece, un drastico peggioramento delle condizioni di vita.

Una bomba sociale era pronta a esplodere

Al Sud un ulteriore colpo di grazia lo diede il nuovo sistema dei meccanismi successori, che in poco tempo polverizzò le vecchie proprietà contadine e le rese non idonee a garantire l’autosussistenza. La nuova legislazione del Codice Civile, infatti, nonostante i tentativi disperati della popolazione contadina, con matrimoni tra consanguinei e utilizzo della quota disponibile, spazzò via le vecchie modalità di successione, imponendo due possibilità: egualitarismo integrale o divisibilità dell’asse ereditiero in due parti uguali con quota legittima da ripartire tra eredi e quota disponibile a disposizione del proprietario. Se a questo aggiungiamo un cospicuo aumento della popolazione, una bomba sociale era pronta a esplodere. Molti rimasero senza terra e gli appezzamenti agricoli erano diventati troppo piccoli e meno produttivi. Quando i contadini si resero conto di avere perso la partita, aiutati dalla loro naturale propensione alla mobilità agricola, l’alternativa migratoria si impennò.

Emigrazione: la nave con cui partivano gli italiani verso l'australia

Tra il 1861 e la prima guerra mondiale partirono milioni di italiani diretti principalmente verso l’America del Sud e gli Stati Uniti, paesi con immense estensioni di terra da coltivare e necessità di manodopera. E, in misura minore, verso l’Europa. In Brasile, almeno nella parte iniziale e finché poi la situazione non degenerò nuovamente, l’emigrazione fu favorita dalla abolizione della schiavitù, evento che agevolò l’accoglienza di nuova manodopera. Ovviamente, a favorire l’emigrazione ultra oceanica fu il grande progresso in campo navale della seconda metà dell’Ottocento. Grazie a ciò si costruirono navi più sicure e capienti e si abbassò notevolmente il costo del biglietto e la pericolosità del viaggio. Il fenomeno si caratterizzò essenzialmente come emigrazione di lungo periodo, senza concreti progetti di ritorno. Anche se non erano rari i casi di rientro in Patria.

La seconda grande fase, quella della cosiddetta “Migrazione Europea”

In questa fase, che va da fine anni Quaranta a fine anni Settanta, dopo il rallentamento degli anni precedenti, l’Italia tornò a fornire consistenti flussi migratori; si calcolano oltre sette milioni di partenze. I cambiamenti politici ed economici del Paese avevano però cambiato sostanzialmente la natura dell’emigrazione, alimentando un parallelo flusso dalle campagne verso le città e dal meridione verso il settentrione più industrializzato. A partire dalla fine degli anni Cinquanta, iniziò a diventare consistente anche l’emigrazione verso il Nord Italia. Il processo di industrializzazione si stava compiendo, escludendo completamente il Sud, e la manodopera meridionale diventò importante per le industrie settentrionali. L’emigrazione di fine anni quaranta e inizi anni Cinquanta continuò ad avere come meta le Americhe. Ma iniziarono a delinearsi le nuove destinazioni europee in forte crescita economica. Dapprima Svizzera e Belgio a cui si aggiunsero subito dopo Francia e Germania.

Peculiare l’esperienza di emigrazione in Belgio, destinata al lavoro in miniera e abbandonata definitivamente dopo il 1956 a seguito della tragedia di Marcinelle in cui persero la vita 136 migranti italiani. Spesso e almeno nelle intenzioni iniziali, questa emigrazione europea era vissuta come temporanea, ma pian piano si trasformò anche in definitiva. La percezione di un possibile ritorno, comunque più semplice e meno problematico considerata la vicinanza, è stata sicuramente una delle cause dell’abbandono di destinazioni molto lontane. La migrazione extraeuropea, seppure ancora presente, perse dunque forza a partire dalla fine degli anni Cinquanta per le continue crisi politiche ed economiche dei paesi del Sud America. Gli Stati Uniti e il Canada diventarono le mete americane più importanti mentre si aprì una nuova importante frontiera: l’Australia.

L’emigrazione a partire dal 1955

Nel 1955 l’Italia firmò con la Germania un importante patto di emigrazione che portò in quel paese quasi tre milioni di connazionali. Ancor oggi la presenza italiana in questo paese resta molto rilevante con quasi un milione di italiani. Ma anche la Svizzera aveva e continua ad avere una presenza di emigrati italiani molto significativa, che si stima intorno alle settecentomila presenze. L’emigrazione di questo periodo riguardò soprattutto le regioni meridionali, escluse dal processo di industrializzazione del Paese. Sicilia, Calabria, Puglia, Campania e Abruzzo le regioni più toccate. Molti di questi emigrati rientrarono a fine età lavorativa. Ma sono anche tanti quelli che decisero di rimanere per stare accanto ai loro figli che si erano completamente integrati nelle nuove realtà. 

L’associazionismo

Un importante fenomeno di aggregazione che bisogna assolutamente sottolineare, ed è possibile registrare in tutti i paesi che sono stati toccati dall’emigrazione italiana, è quello dell’associazionismo. Secondo il Ministero degli Esteri sono presenti fuori dall’Italia oltre diecimila associazioni costituite da emigrati e da loro discendenti. Associazioni di ogni genere: di mutuo soccorso, culturali, di assistenza e servizio. Costituiscono ancora oggi un importante punto di riferimento per le comunità degli italiani all’estero. Dalla fine degli anni Ottanta e fino alla fine del secolo, il flusso degli emigrati italiani si è pressoché fermato. Soprattutto se consideriamo le cifre degli anni precedenti.

La “Nuova Emigrazione” del XXI secolo

La crisi iniziata nel 2007, che non sembra arrestarsi, ha provocato un nuovo rigurgito del fenomeno migratorio. Inferiore per numeri rispetto ai due precedenti, sostanzialmente diverso anche per caratteristiche, provenienza ed estrazione sociale dei nuovi migranti. Il fenomeno, infatti, coinvolge nuovamente tutti, non tocca solo il Sud ma tutta la penisola; questo, ormai, non accadeva da anni. Soprattutto, non riguarda solo le classi meno abbienti. Spesso a partire sono giovani laureati e non solo manodopera poco specializzata come avveniva in passato: tant’è che il fenomeno si definisce “fuga di cervelli”. Questa nuova emigrazione è diretta essenzialmente verso i paesi occidentali più ricchi. Chi espatria va generalmente in Nord Europa: Germania, Inghilterra in primis, ma anche gli espatri verso Canada, Stati Uniti e Australia iniziano a essere consistenti. Secondo l’OCSE l’Italia è tornata ai primi posti nel mondo per emigrati, per precisione all’ottavo, dopo il Messico e prima del Vietnam.

Si stima che partano mediamente ogni anno 150.000 persone. È, dunque, anche un’emigrazione d’elite, che toglie all’Italia le sue forze migliori. I nuovi migranti non aderiscono al cliché degli anni Cinquanta del bracciante del Sud che partiva con la valigia di cartone. Questa nuova emigrazione rappresenta per il Paese una perdita in tutti i sensi. Ogni emigrato istruito è, infatti, un investimento che se ne va: mediamente 164.000 euro per laureato, 228.000 per un dottore di ricerca. Il costo stimato per la nostra economia è di 14 miliardi l’anno. Un’indubbia perdita per il nostro Paese, trattandosi di capitale umano formato in Italia. Stiamo dunque perdendo una grande fascia di chi può far crescere il nostro Paese. Di chi sa innovare, di chi può contribuire a tirare fuori l’Italia dalla profonda crisi economica, demografica e occupazionale in cui si è avviluppata.

Cinque milioni di italiani all’estero

Bisogna dire, per correttezza di informazione, che questa “nuova emigrazione” causata dalla crisi tocca quasi tutti i paesi del Sud Europa. Si tratta, dunque, di un nuovo tipo di emigrazione, completamente diversa da quella storica per tipologia di flussi. Al momento, secondo le ultime rilevazioni, si calcola che la comunità dei cittadini italiani all’estero supera i cinque milioni. Mentre gli “oriundi italiani”, cioè i cittadini di origine italiana, sfiorano gli ottanta milioni.