Pippo Prestia

Pippo Prestia, all’anagrafe Filippo, è uno dei più apprezzati poeti vernacolari della Calabria. Classe 1938, Prestia è anche scrittore, cantautore e musicista autodidatta. Nato a Vibo Valentia, dove tuttora risiede, è famoso anche per essere un grande cultore delle tradizioni popolari che affondano le radici nell’antica cultura rurale. È stato uno dei fondatori del Gruppo Folk Città di Vibo Valentia, che lo ha portato in giro per il mondo. Sul palcoscenico ha espresso pienamente la sua vena artistica, cantando, suonando (il pianoforte, la fisarmonica, la chitarra e l’armonica da bocca) e rappresentando alcune scene fortemente ispirate al folklore della sua terra.

Prestia, libro

Prestia è autore di quattro raccolte poetiche: “’A lumaricchia”, del 1978; “Palumbejia”, del 1990; “Com’a ‘ntisi v’a dissi”, del 2021; “Rifuma la mia menti”, del 2022. Il 28 aprile di quest’anno ha pubblicato il suo primo romanzo “Interferenze”, edito da Libritalia.net, che ha presentato lo scorso 23 giugno nella sua città, presso “Le Buche” del 501 Hotel. Iniziato qualche anno fa, poi lasciato e ripreso più volte, il libro avrebbe dovuto intitolarsi “Sotto un cielo di giada”, colore che ricorda le colline di ulivi che costeggiano il litorale tirrenico. Poi, man mano che la storia ha preso forma, l’autore ha optato per “Interferenze”.

Premio

Per la sua arte poetica, Prestia ha ricevuto numerosi e prestigiosi premi, tra cui il Trofeo Pulcinella. Degno rappresentante della cultura calabrese, ha rilasciato questa esclusiva intervista alla Fondazione.italiani.it, che da anni promuove la cultura italiana nel mondo.

Prestia, Interferenze

Prestia, il suo romanzo è ambientato in Calabria. Cosa racconta?

«Racconta la storia di un uomo che, giunto alla soglia degli 80 anni, inizia a ripercorrere a ritroso alcuni momenti salienti della sua esistenza. Tutto accade in un giorno d’estate, quando il protagonista, sdraiato su una spiaggia della Costa degli Dei, si rilassa e cade in uno stato di dormiveglia. Nel sonno rivive alcuni episodi della sua vita, come flash improvvisi che non hanno alcun collegamento cronologico tra loro. Poco distanti da lui, giocano a palla i nipotini che, di tanto in tanto, con le loro “interferenze”, disturbano il suo “viaggio a ritroso nel tempo”. Tutto si conclude nel momento in cui sua moglie lo sveglia, riportandolo bruscamente alla realtà».

Prestia

Con il Gruppo Folk Città di Vibo, di cui ha curato la preparazione artistica e spettacolare, lei ha girato il mondo. Quali ricordi conserva di questa esperienza?

«Ricordi bellissimi e indimenticabili. Insieme a loro ho girato l’Europa, l’America, l’Africa. Ovunque, siamo stati accolti con grande entusiasmo, soprattutto dai calabresi emigrati all’estero, sempre molto accoglienti e calorosi. Siamo stati l’unico gruppo folk al mondo a esibirsi a Lourdes, in Francia. Non dimenticherò mai le persone che appena tornate dalla processione aux flambeaux, insieme agli ammalati, sono venute sotto il palco a salutarci. È stata una scena molto toccante. Un altro episodio che non dimenticherò è la festa di San Francesco di Paola che si svolge Chicago, negli Stati Uniti. Lì ho mangiato gli stessi piatti che, per l’occasione, si preparano a Paola e a Cosenza».

Gruppo Folk di Vibo

Lei, che è un cultore del folklore popolare, nelle sue esibizioni artistiche in giro per il mondo, ha più volte rappresentato le cosiddette “scene di sdegno” calabresi. Di cosa si tratta?

«Nella cultura contadina calabrese, l’amore, così come il suo opposto, lo sdegno, sono sempre stati decantati dai poeti e narrati dagli scrittori. Le scene di sdegno, che ho portato in scena insieme ad altri interpreti, raccontano di due uomini innamorati della stessa donna che, per contendersi l’amata, si sfidano a duello. Un tempo, a Vibo ma anche in altri paesi della Calabria, in particolare durante le feste religiose, i giovani e le fanciulle, ben vestiti per l’occasione, usavano lanciarsi sguardi d’amore. Quando gli sguardi di due uomini erano rivolti contemporaneamente alla stessa fanciulla, tra i due pretendenti si innescava un alterco che si “risolveva” con un vero e proprio duello. Lo scontro armato avveniva solo al termine della festa, in rispetto del santo, in onore del quale la festa era stata celebrata, e della comunità stessa. I due contendenti si sfidavano con coltelli a serramanico e, spesso, lo scontro si concludeva con la morte di uno di loro. Questi episodi sono conosciuti anche con il termine “chianote”, ovvero duelli propri della piana che da Vibo si stende fino a Gioia Tauro».

L’amore è uno dei temi dominanti della sua poesia. Quali episodi, legati alla vita contadina di un tempo, raccontano, più di altri, questo sentimento?

«Nel periodo della mietitura e trebbiatura del grano, o in quello della raccolta delle olive, nella piana arrivavano tanti giovani, ragazzi e ragazze, che qui lavoravano da mattina a sera, per poi fare ritorno alle loro case. Queste giornate trascorse insieme nei campi, spesso erano un’occasione favorevole per far sbocciare l’amore, che il giovane innamorato dichiarava alla giovane prescelta intonando uno stornello. Come non ricordare, poi, le serenate che, a sera, l’innamorato faceva sotto la finestra dell’innamorata, che nascosta dietro le tende spiava e sospirava. A Vibo sono stato l’ultimo menestrello, perché ho dedicato una serenata a mia moglie, prima di sposarla».

Prestia, primo piano

Lei è uno dei più apprezzati poeti dialettali calabresi. Che importanza ha il dialetto nella cultura calabrese?

«Il dialetto è l’identità di un popolo, la sua carta d’identità. Prima di parlare, solitamente il calabrese pensa in dialetto quello che deve dire. In Calabria non si parla un unico dialetto, ma tanti dialetti diversi tra loro, frutto di influenze linguistiche molteplici, quali l’arabo, lo spagnolo, il francese, il latino e il greco. La ricchezza linguistica calabrese risente dell’influenza delle dominazioni e delle incursioni di diversi popoli, per i quali la Calabria è stata per secoli una terra d’approdo. C’è chi si adopera per salvaguardare il proprio dialetto e farlo conoscere, soprattutto ai giovani, e chi, al contrario se ne vergogna, considerandolo una lingua “inferiore”, da non tramandare ai propri figli. È un gravissimo errore, perché il dialetto non solo è una lingua identitaria, ma è anche musicalità, è fonetica. Pochi sanno scriverlo correttamente, purtroppo. Esiste il Dizionario dialettale della Calabria, scritto dal filologo tedesco Gerhard Rohlfs, un lavoro straordinario».

L'Affruntata
Nella foto, Giuseppe Morello davanti a una sua foto che immortala un momento della rappresentazione nota come l’Affruntata

Anche la religiosità è protagonista nelle sue liriche. Qual è il momento religioso più intenso che si vive a Vibo?

«Intanto, c’è da dire che in Calabria la fede e la devozione ai santi sono ancora molto radicate. A Vibo Valentia la rappresentazione religiosa tra le più antiche e partecipate è quella dell’Affruntata, che si ripete ogni anno a Pasqua. Il rito consiste nell’incontro tra le statue di Gesù Risorto, della Madonna e di San Giovanni Apostolo. La Madonna indossa un mantello nero, in segno di lutto, che si stacca all’improvviso svelando un bellissimo vestito azzurro. Ciò accade nel momento in cui vede il figlio risorto, andarle incontro insieme a San Giovanni. Un volume in fase di lavorazione, a cui sta lavorando Giuseppe Morello, è dedicato proprio a questa rappresentazione. Al suo interno, l’autore ha voluto inserire una mia poesia dedicata proprio all’Affruntata».

Cosa rappresentano oggi le tradizioni popolari?

«Rimangono un inestimabile capitale di intelletto, di storia, di umanesimo da tutelare perché non vadano perdute».

(Foto: Pippo Prestia Profilo Facebook; Giuseppe Morello Profilo Facebook)